Marte, ovvero la cava di Bauxite a Otranto

Puglia

La storia ricorda un tempo, a dire il vero per nulla remoto, ma lontanissimo nella percezione di tutti, in cui il rosso non rappresentava solamente una minaccia. Non il peggiore degli scenari possibili, o claustrofobici. Pronunciando quelle cinque lettere non si creava panico e nessuno si lanciava occhiate preoccupate e nervose.

Proviamo per un momento a fare uno sforzo piuttosto importante, ma dal risultato sicuramente appagante. Chiudiamo gli occhi e pensiamo al rosso eliminando dalla nostra memoria la cronologia dell’ultimo anno. Resistiamo alla tentazione di premere su link nefasti che ci riportano alla cronaca più recente, e focalizziamoci sui ricordi belli legati proprio al rosso.

“Ma è difficile!”, mi direte! “Nobody said it was easy!”, rispondono a gran voce i Coldplay.

Ok: comincio io. Occhi chiusi. Respiri profondi. Rosso, rosso, rosso… Ci sono: vedo scorrere delle immagini. Sono sfocate, ma percepisco della bellezza. Vedo un contrasto fortissimo tra un blu cristallino ed il rosso. Delle macchie di verde intenso. Un canyon, della terra decisamente rossa. Percepisco la mia wanderlust che scalpita, molto caldo, un sole cocente, delle salviettine umidificate nel vano tentativo di levare quel rosso da dei piedi. Un attimo… quei piedi sono i miei. Ho forse camminato a piedi scalzi su Marte?

Nonostante, dal profondo nord, i tempi di percorrenza siano pressochè gli stessi di quelli Terra-Marte, suppongo sia altamente probabile che quel rosso sia riconducibile ad un unico luogo: la cava di bauxite a Otranto. Che poi, parliamoci chiaramente, lasciata la macchina nel parcheggio (con un piccolo obolo di 3 euro) e fatto qualche passo, la sensazione è proprio quella di essere catapultati su suolo marziano. Quindi, in definitiva: per Marte? Semplice: basta andare giù giù, verso il tacco, scendere ancora un pochino e fermarsi vista mare!

Mi lascia ogni volta sconcertata come, dopo un incisivo e totalmente indelebile intervento umano, la natura opti per cicatrizzare le proprie ferite nel modo migliore possibile e altrettanto inaspettato. Come? Immaginiamo uno sfruttamento intensivo di questo luogo già negli anni Quaranta. Ruspe e mezzi meccanici che, senza sosta, lavorano per estrarre la bauxite (un minerale impiegato per la produzione di alluminio), scavando il terreno e trasformando per sempre il paesaggio a due passi da Otranto, nelle vicinanze del faro di Punta Palascia (proprio quello che identifica il “punto più a est d’Italia”) e del monte Sant’Angelo. Lasciamo scorrere velocemente il tempo fino al 1976, anno in cui i lavori di estrazione cessano. Pensiamo alla natura ferita e sfregiata, lasciata in pieno stato di abbandono.

Guardiamo il luogo continuando a lasciar scorrere velocemente il tempo: viviamo sulla nostra pelle gli ultimi giorni di lavoro, gli operai intenti nello smontaggio di tutti i mezzi utilizzati negli anni di cava, la polvere rossa alzata dagli ultimi autocarri che si lasciano alle spalle questo enorme scavo. Lungi dall’abbandonare questa terra marziana, rimaniamo fermi sul bordo della cava e osserviamo attentamente l’enorme spazio vuoto riempirsi lentamente di acqua. Si: acqua. Il primo regalo che la natura ha fatto a se stessa è quello di creare un lago dalle acque splendidamente verdi, frutto, probabilmente, delle infiltrazioni provenienti dalle falde acquifere di cui la zona carsica è ricca. Senza alcun tipo di intervento di recupero ambientale, negli ultimi decenni, proprio grazie a questo lago, si è creato un vero e proprio microcosmo lacustre. Un lago che, per sua natura, non è balneabile per l’uomo, ma che concede ad anfibi, rettili ed uccelli di potere usufruire senza pericolo della sua smisurata bellezza.

Abbiamo appena assistito ad uno spettacolo senza precedenti: il trasformarsi di un luogo desolante ed abbandonato, probabilmente destinato a rimanere, negli anni, un luogo fantasma, in una delle perle del Salento, un locus amoenus nato, o per meglio dire rinato, dopo l’intervento umano.

E’ indiscutibilmente impossibile trattenere la meraviglia di fronte ad uno spettacolo del genere. Superata una collina di compatta terra rossa, il panorama si apre all’improvviso sul lago. Certo, non si tratta del luogo ideale per chi soffre di vertigini, ma camminare per i canyon che ricordano i cugini ben più noti su suolo americano, e cercare di memorizzarne tutte le sfumature che dal giallo ocra si trasformano in quel rosso assolutamente unico ha un che di ipnotico.

Immagino che sia per il potere magico di questo luogo che mi sono ritrovata a camminare scalza sul terreno reso bollente dal sole d’agosto senza riuscire a trattenere lo stupore di fronte alla manifestazione più precisa in assoluto di quelli che sono i colori complementari: il verde intenso della vegetazione sulla terra rossa, il lago blu contro tutte le sfumature di arancione che possiamo immaginare.

La cava è circumnavigabile per tutto il suo perimetro e, dalla giusta prospettiva, lo sguardo spazia su panorami creati ad hoc da questo luogo per stupire anche chi si avvicina con perplessità e dubbio: montagne rosse, un cratere sanato da canneti e dall’acqua, una vegetazione che include palme e cespugli caratteristici della macchia mediterranea e, sullo sfondo, il mare. I più audaci e spericolati possono provare l’ebbrezza di avventurarsi sui sentieri , ovvero la cresta dei calanchi che delimitano la cava. Non sono ammessi i cuori deboli: la sensazione è quella su per giù che deve provare l’equilibrista sulla corda sospesa nel nulla. Il vero problema, però, quello a cui non si pensa muovendo lì sopra i primi passi (come ho fatto io, per esempio) è che, solitamente, questi meravigliosi sentieri si interrompono senza preavviso a strapiombo sul lago. L’unico modo per tornare sulla terraferma, quindi, è quella di essere abbastanza calmi e di avere il pieno controllo del proprio corpo mentre si compie un’inversione a U su un sentiero di massimo 30 cm. Pieno autocontrollo raggiungibile solamente dopo la crisi di panico che sopraggiunge con la consapevolezza che nessuno può raggiungerti sul cucuzzolo sopra il quale ti sei arrampicato come una scimmia. Nessuno tranne una squadra addestrata che si cala in verricello dall’elicottero. Il che attirerebbe l’attenzione in maniera eccessiva. Ma questi sono dettagli, perché quel che conta è che vale la pena.

Che la cava si faccia bella per rubare la scena al bianco candido di Otranto, che la guarda da vicino, giusto per puntualizzare che noi saremo sempre gli ospiti più ingombranti, ma che, alla fine, la natura trova sempre il modo per riconquistare i suoi spazi, giusto per puntualizzare che si arrangia benissimo anche senza di noi?