Ricordi magici di un Oman incontaminato

Oman

Sultanato dell’Oman, febbraio 2006.

A fine dicembre 2005 avevo acquistato un biglietto di sola andata, senza sapere quando sarebbe stato il momento di rientrare, per Muscat. Partenza: 10 gennaio 2006. Destinazione finale: una tenda a tre posti nel cortile interno di una casa di Ras al Jinz, conosciuto ora per le meravigliose spiagge su cui depongono le uova le tartarughe, per poter partecipare ad una campagna di scavo con l’Università di Bologna. La spedizione era formata da italiani, americani, indiani, francesi e, ovviamente, omaniti. Alla fine, sono rientrata quasi due mesi dopo, con una abbronzatura da favola, una t-shirt con una tartaruga, una quantità di stoffe acquistate a Ras al Hadd e al suk di Mascate, incensi e tanti, tantissimi meravigliosi ricordi, senza considerare capelli con degli autentici colpi di sole da favola.

Lo scavo

Oggi più che mai ho bisogno di aggrapparmi a quei ricordi: con la mia Amica Elena, la A maiuscola, di quelle che te ne capitano poche, che senti ancor meno ma che ti è sempre, comunque, vicina.

Amiche

Ho bisogno di chiudere gli occhi e di sentire il profumo dell’Oceano, il sale ed il sole sulla pelle. Senza pensieri, voglio ricordare di aver portato per quasi due mesi le infradito e di essere sbarcata all’aeroporto di Roma Ciampino con la t-shirt, la giacca a vento della partenza in valigia e trenta centimetri di neve da Bologna in su. Ci sono voluti quasi tre giorni di viaggio per arrivare in Oman: partenza da Fidenza per Roma, notte passata in cuccetta; volo per Doha, coincidenza persa, qualche ora in un lussuosissimo hotel del Qatar senza bagaglio (da quel momento curo il bagaglio a mano in ogni minimo dettaglio, pronta a qualsiasi evenienza), interamente spesate dalla compagnia aerea, volo per Muscat e un interminabile viaggio in Jeep, sempre più lontani dalla civiltà occidentale, verso un magico villaggio di pescatori.

Voglio ricordare i nostri venerdì, il giorno di festa, quelli lontati dallo scavo, esplorando l’Oman: Wadi Shab e i suoi tuffi da altezze improponibili, Wadi Bani Khalid, le Wahiba Sands e le loro dune di sabbia rossa, dalle quali ci siamo rotolate scalze e sorridenti, in attesa di rientrare verso casa, con i nostri colleghi archeologi e amici omaniti, per mangiare quei meravigliosi spiedini di montone.

Wadi Shab
Wahiba Sands

Voglio ricordare, ridendo ancora come una pazza, di quella notte che una tempesta di sabbia ci ha scaraventato tenda, “letto” (sempre che quella branda arrugginita e cigolante potesse definirsi come tale) e valigia a centinaia di metri di distanza.

Suite imperiale cinque stelle superior

Di quella volta che siamo state invitate ad un matrimonio locale e ho passato la serata a sorridere a tutte le donne che mi abbassavano in continuazione il velo e che mi tiravano i capelli perché, dalle loro parti, di occidentali con capelli ricci e biondi non se ne erano ancora viste. In una foto, splendidamente ed autenticamente fuori fuoco, sono agghindata a festa, con collana dorata e copricapo prezioso, in posa per loro.

Matrimonio omanita

Ho ancora nelle orecchie le risate che si sono fatte vedendomi un tantino a disagio con tutti quei gioielli. Quella sera, alla fine, abbiamo ceduto alle richieste insistenti e abbiamo ballato, tentando di riprodurre passi tipici, circondate dalle famiglie degli sposi, liete di un intrattenimento tanto originale, al ritmo dei campanelli delle nostre cavigliere, che gli omaniti sostengono tengano lontano gli spiriti della notte (quasi meglio di una serata di cabaret occidentale).

Voglio ricordare la giornata passata su una barchetta a chilometri dalla costa a pescare tonni con un unico filo ed un’unica esca e i colpi di mazza da baseball con i quali il pescatore uccideva il pescato e lo lanciava nel sottofondo della barca, spostando una assicella. Dopo ore di barca sotto al sole, ho mostrato la necessità di fare pipì, mimando al pescatore un tuffo in mare; il ragazzo mi ha guardato serio scuotendo la testa: “niente tuffi, ci sono gli squali qua attorno”. Per dieci ore, dopo aver messo piede sulla terraferma, non ho più avuto alcun bisogno di una toilette.

Voglio ricordare la notte passata in spiaggia, in un sacco a pelo sistemato, dopo una super impegnativa grigliata di pesce (con tanto di falò, canti in cerchio e racconti in varie lingue del mondo), in discesa e che per questo continuava a scivolare verso il mare. Il risveglio con i gabbiani che urlavano volando in cerchio sulle uova di tartaruga che si schiudevano proprio in quel momento, la felicità di poter vivere un istante unico come quello e lo shock di assistere alla natura che continuava il suo corso nel becco di quei gabbiani che si fiondavano sui tartarughini, decimandoli. E la soddisfazione di vederne arrivare qualcuno al sicuro, nelle acque dell’oceano? Chi se la dimentica?

Le uova si schiudono

Quando siamo partite, la gente mi chiedeva dove fosse questo Oman. Ora che tutti lo conoscono, i nostri ricordi di una terra ancora vergine, tutta da scoprire, hanno un valore incalcolabile. Ma tranquilli, li conservo in un cassetto davvero molto vicino al mio cuore, pronti per essere rispolverati in momenti no come questi, nei quali tutto sembra nero e triste. Oggi, mi è bastato inserire un cd nel pc e aprire file che non aprivo da tanto, troppo tempo, per ridipingermi un sorriso autentico, leggero e taumaturgico, sul volto.

I viaggi non troppo progettati (e la wanderlust che li guida) evidentemente, servono anche per curare le ferite del tempo.