Rifugio San Leonardo al Dolo

Emilia Romagna

Chi mi conosce sa bene quale sia il mio (bassissimo) livello di tolleranza verso le rotture di scatole. Allo stesso modo, chi mi conosce sa bene quanto poco ci voglia per rientrare di diritto nella mia definizione di “rotture di scatole”. Per questo motivo, ciclicamente, ho bisogno di decompressione, di liberare la mente, di prendermi del tempo lontano da tutto e da tutti (non tutti tutti, dai, sono magnanima, solo tutti).

Del resto, se una persona asociale e ai limiti della misantropia come me vive per la maggior parte dell’anno in società, senza commettere delitti e moderando il sarcasmo, addirittura permettendo alle persone di entrare nel proprio spazio vitale più dello stretto necessario senza incenerire con lo sguardo come Ciclope di X-men, anzi sempre col sorriso, un po’ di riposo se lo merita. Mentale in primis.

Questa estate, credo di aver trovato un luogo taumaturgico. Ma sul serio. Voglio dire, se ha un potere guaritore così grande su di me, vuol dire che funziona per davvero.

Non a caso, si tratta di un Rifugio. San Leonardo al Dolo, per la precisione. E “rifugio” e “san” nello stesso toponimo in questo caso sono inscindibili.

Il semplice fatto che il Rifugio sia raggiungibile solo a piedi, con 45 minuti di camminata assolutamente affrontabile anche da una neofita, è già un ottimo punto di partenza: lo zaino che ho in spalla non può contenere la buona dose di stress e di stanchezza che mi porto dietro. Quindi, lascio a Case di Civago non solo l’auto, ma anche buona parte di rotture di scatole. Prendo così sul serio questa cosa del detox sociale che, al terzo passo, sono già in modalità “reset” e tutto quello che mi circonda assume improvvisamente ed inaspettatamente un colore, dei suoni tipici, dei profumi. In una parola, tutto diventa meraviglioso e mi gaso così tanto da cominciare a saltellare, lanciare gridolini, ridere. Cioè. Io. La personificazione della faccia di bronzo ha ritrovato la joie de vivre. Mi sono girata verso il mio accompagnatore quando ho udito uno schiocco insolito: era la sua mandibola, crollata a terra contro le pietre del sentiero per lo stupore.

Capite di che razza di luogo sto parlando?!

A conti fatti, suppongo, senza esagerare, di poter paragonare la mia camminata verso il rifugio all’Ascesa al Monte Ventoso di Petrarca. Solo che Lui, alla fine, raggiunge Dio, io sono molto meno spirituale e mi accontento della pace dei sensi.

La mia ascesa prevede di salutare, spontaneamente e con sorriso incorporato (posso sentire dietro al collo lo sguardo perplesso del mio cicerone che continua a non spiegarsi un così rapido cambio di umore da parte mia) tutte le persone che incrocio sul sentiero, una tappa al Dolo (ero partita con l’intenzione di un tuffo, ma ho perso la sensibilità ai piedi in sei secondi netti, per cui nulla da fare) sempre con il sorriso stampato in faccia ed, infine, l’arrivo a destinazione.

Esattamente tutto come me lo aspettavo. Anzi, meglio.

Una antica costruzione in pietra, per antica intendo millenaria, sorge nel cuore del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano. Sono le vestigia di un Ospitale medievale (con tanto di cappelletta). L’accesso allo spazio antistante è libero, ci si può accomodare ad uno dei tavoloni allestiti per condividere cibo, racconti, chiacchiere, del buon vino.

La soglia del rifugio, invece, è giustamente superabile agli addetti ai lavori o a chi deve salire la scala interamente in legno che porta ai servizi (doccia compresa) e alla camera riservata a dormitorio. Il rifugio è prenotabile anche in autogestione (inserito immediatamente nella lista delle cose da fare: rifugio in pieno inverno). E’ dotato persino di barbecue. Cosa volere di più?!

Ho deciso di non dormire all’interno del rifugio. Non sono ancora pronta a tutta questa condivisione. Scendo, quindi, oltre i pannelli fotovoltaici (la scelta green del gestore è perfetta) fino a raggiungere la sponda del Dolo. Dopo un periodo di tempo equiparabile circa ad un’era geologica, decido il punto esatto in cui piazzare la nostra tenda: abbastanza lontano dalle altre ma abbastanza vicino alla civiltà. Adoro gli animali, molto più delle persone, ma ritrovarmi faccia a faccia con un lupo nella mia consueta tappa notturna ai servizi non rientra nelle mie priorità, al momento.

Allestisco la minuscola tenda con la stessa pignoleria di un arredatore di interni. Come se avessi altre scelte nell’incastro di materassini, sacchi a pelo e torcia. Ma questo è l’ultimo colpo di coda del mio incipiente disturbo ossessivo-compulsivo. Ora sono pronta. La mia mente è totalmente sgombra. Ciliegina sulla torta: il cellulare non ha campo. Direi che è tutto perfetto. Ciao-Ciao rotture di scatole, non posso sentirvi da quassù!

Passo davvero tanto tempo su un’amaca, un po’ leggendo, un po’ ad occhi chiusi, cullata dal suono dell’acqua corrente. Passeggio nei boschi che circondano il rifugio su un letto di muschio e foglie. Che profumo! Una dose di bosco dovrebbe essere obbligatoria per tutti, almeno una volta l’anno.

Ceniamo tutti insieme. I rumori della civiltà più vicini sono ad una galassia di distanza. C’è pace, allegria, una dose perfetta di leggerezza. Credo di non aver mai visto così tante stelle cadenti in una sola notte. Sono in estasi. Tutto questo mi porta ad aver voglia di interagire con il prossimo. Cantiamo in cerchio, davanti ad un braciere, finché la stanchezza non ha il sopravvento.

Sacco a pelo, tenda, materassino e cuscino gonfiabile non rientreranno di certo nella top ten del confort e del lusso, ma non ricordo il tempo di aver dormito così bene. Certo, lavarsi la faccia in un torrente gelido ha un che di traumatico, ma è altrettanto rigenerante. E poi, dai, il frigidarium era già roba da antichi romani.

Alla fin fine, in realtà, credo che sacco a pelo, tenda, materassino e cuscino gonfiabile siano tutto ciò che serve, di tanto in tanto, per poter ritornare a capofitto alla civiltà e alla routine quotidiana.

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