Copenaghen: e se l’attesa della Sirenetta fosse essa stessa il piacere?

Copenaghen

Una città nella quale pranzare costa più del viaggio per arrivarci crea, inevitabilmente, grandi aspettative. København (tentare la pronuncia danese è senza dubbio la tredicesima fatica di Ercole) ne ha tradita una sola, il suo simbolo, ma si è ripresa in fretta ed è riuscita a meravigliarmi e a farmi dimenticare la delusione.

Il primo impatto è quello con il serpentone di biciclette che costeggia ogni strada e che incede al ritmo dei semafori. E’ incredibile vedere quante biciclette riescano a spostarsi contemporaneamente, armoniosamente e senza sfiorarsi, come se fossero uno stormo di uccelli in volo. Ci sono quelle guidate da manager in giacca e cravatta e da donne con tacchi a spillo, ma le più particolari sono quelle con il rimorchio anteriore, dal quale spuntano visini di bimbi imbacuccati per proteggersi dal freddo. Non è sicuramente un caso che Copenaghen sia ritenuta la capitale mondiale della ciclabilità.

Ancora sbalordita da questo spettacolo, ho raggiunto, impaziente, il cuore pulsante di Copenaghen: il Nyhavn. La cornice, coloratissima, del canale costruito per collegare il porto alla città è costituita da casette in stile olandese, ognuna delle quali ospita un locale.

Credo di aver raggiunto la pace dei sensi gustando un meraviglioso smørrebrød (tutti bravi a dire “sandwich”) al salmone, ma, come ogni cosa bella che si rispetti, è durata veramente poco, ovvero fino al conto: trenta euro circa per un panino al salmone e una birra media sono emblematici di quanto sia cara la vita nella capitale danese.

Il tour in battello (la partenza è proprio nel Nyhavn) mi ha permesso sia di osservare la città da un altro punto di vista (adoro cambiare visuale) sia di stare al coperto e al caldo durante il temporale, che è arrivato all’improvviso. In un’ora è possibile orientarsi in città e programmare la visita approfondita alle principali attrazioni delle quali si fa conoscenza direttamente dai canali.

Sfidando il vento, una volta scesa dal battello mi sono incamminata dritta verso la Sirenetta. Deve essere stata la determinazione di raggiungere il simbolo indiscusso della città a mettermi il paraocchi, perché solo dopo essere stata delusa dalla vista di questa piccola statua e del panorama dietro di lei (seppur di ultima generazione e pur avendo una pista da sci sul tetto, rimane comunque un inceneritore) e sulla strada del ritorno verso il centro ho visto la vera bellezza di Copenaghen.

Salutata freddamente la Sirenetta, ho attraversato il Kastellet, il parco fortificato a forma di stella e proprio all’interno del Churchillparken ho trovato il primo tesoro: la chiesa di St. Alban, l’unica chiesa anglicana di tutta la Danimarca.

Ho faticato a distogliere lo sguardo da questa magnetica costruzione in stile neogotico inglese che ti attira all’interno di quello che sembra un vero e proprio set cinematografico, tanto è perfetta.

Proseguendo sul lungomare, verso il Nyhavn, mi sono imbattuta in una scultura sui generis: la versione “transformers” (si, è proprio perché è fatta di rottami) del Pensatore di Rodin (The Zinker). Quest’uomo che pensa, guardando il mare, non è altro che un’ulteriore prova del fatto che Copenaghen sia una città dinamica, visionaria e lungimirante.

Qualche altro passo e mi ritrovo faccia a faccia con il David di Michelangelo. Probabilmente così arrabbiato dal non essere al suo posto, in Piazza della Signoria, che non ha risposto nemmeno alla mia legittima richiesta sul cosa ci facesse lì, in balia del vento freddo, all’ombra di un palazzo rosso, meravigliosamente in contrasto con il cielo blu, ma per nulla somigliante al Palazzo Vecchio.

Il cerchio si chiude con uno sguardo al futuro: la Copenaghen Opera House, un edificio iconico sia dal punto di vista architettonico che artistico.

Non c’è nulla, in questa città, che non sia perfettamente inserito nel panorama storico-urbanistico. Il vecchio ed il nuovo sono completamente armonizzati. In poche centinaia di metri ritroviamo il palazzo reale e un edificio ultra moderno. L’uno davanti all’altro, in un perenne faccia a faccia, così da ricordarci della necessità di un percorso in continua evoluzione.

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